La giornalista Francesca Sabella ha intervistato per Il Riformista Napoli la presidente di Premio GreenCare su diversai temi riguardanti la gestione, la cura e l’implementazione del verde urbano nel Comune di Napoli.

Riportiamo alcune riflessioni che potranno essere utili al dibattito in città per una svolta green in linea con quanto richiede l’Unione Europea che ha posto molta attenzione alla svolta ecologica delle grandi metropoli.

Che Napoli sia il fanalino di coda delle città italiane che investono meno nella cura ed implementazione del verde urbano è solo una conferma di quanto i cittadini napoletani possano osservare da soli e con disappunto in una passeggiata in città. Un segno ancora più grave perché si tratta di una grande metropoli che ha già il primato in Italia della città con il più basso rapporto in tema di disponibilità di verde urbano per abitante. E con l’aggravante che in alcuni quartieri fragili, densamente abitati, penso proprio ai Quartieri Spagnoli, il cittadino dispone di solo 1,42 mq di verde urbano. Non se la passa meglio Bagnoli dove la disponibilità di verde per abitante sale a 120 mq pro capite, ma è solo sulla carta perché, ad esempio il Parco dello Sport è chiuso ed abbandonato. Per non parlare di Ponticelli e Barra con parchi in condizioni indecenti, e direi anche il Vomero con la Villa Floridiana aperta a singhiozzo e con la maggior parte del parco inaccessibile. Tutto il ragionamento si aggrava se calcoliamo quante volte, nell’arco di un anno, i cittadini hanno trovato, a causa delle allerte meteo, sbarrati gli ingressi di quei pochi parchi e giardini che sono nelle loro disponibilità. Chiusure motivate non solo dalle speciali avversità dei fortunali ma soprattutto dalla mancanza di una manutenzione costante con il censimento e monitoraggio di tutte le alberature.

Gli introiti della tassa di soggiorno, incassati negli anni del rinascimento turistico napoletano, quindi pre covid, si sarebbero dovuti e potuti investire nella cura del verde urbano, considerandolo come una priorità per le diverse valenze: di infrastruttura ecologica, elemento che contribuisce al decoro urbano con il miglioramento delle attività economiche adiacenti, quale luogo dell’inclusione sociale e di opportunità nei territori fragili. Ma anche come verde storico da “restaurare” e valorizzare con proposte di percorsi turistici nuovi e green, tali da decongestionare il centro della città dai grandi flussi di visitatori. Altre risorse, con il Comune di Napoli in pre-dissesto, non si sono potute attivare.

Le grandi metropoli italiane, penso a Milano, stanno puntando tutto sulla svolta green, riqualificando anche i cosiddetti non luoghi, con interventi che realizzano nuovi parchi, giardini ed aiuole, e conferendo alla città una immagine green al passo coi tempi.

Sono in arrivo tanti fondi per il verde pubblico da parte della Regione Campania e della Città Metropolitana di Napoli. Un’occasione formidabile per riscrivere la città, ma nella sua accezione di Città Metropolitana veramente realizzata, dove il verde potrà essere il collante come una infrastruttura di congiunzione. Così non parlerei più di verde urbano ma di verdi: parchi storici, parchi urbani, il verde dei chiostri e delle riserve naturali, il verde dei terreni ancora dediti all’agricoltura. Tutti questi verdi dovranno essere connessi, anche con un ruolo più attivo e partecipativo dei cittadini. Penso a Bagnoli: 200 ettari di suolo dove è previsto un parco pubblico. La sua manutenzione non sarà sostenibile. Diventerà una giungla. Se invece 150 ettari fossero destinati ad agricoltura di nuova generazione, affidati alla gestione dei cittadini, come nell’idea del professore Massimo Pica Ciamarra, avremmo un ecosistema urbano in ottima salute e senza problemi di manutenzione. Quindi è solo questione di un approccio diverso al tema del verde urbano, non solo di fondi da impegnare.