PRESENTAZIONE

Lancio del Bando 

 1° MARZO 2022 

Per la riqualificazione del Ponte di via San Giacomo dei Capri a Napoli, l’Associazione Napoli Creativa, in partenariato con l’Associazione Premio GreenCare Aps, bandisce l’ottava edizione del Premio La Convivialità Urbana: un concorso internazionale di idee, rivolto agli studi di architettura, per rispondere alla sfida di ripensare la grande infrastruttura incompiuta che giace abbandonata e degradata dal 1982.

La finalità del concorso è quella di divulgare e promuovere un nuovo approccio nel campo della progettazione del paesaggio. La sfida non è solo di progettare un bel giardino da restituire alla fruizione dei cittadini per una rinnovata socialità, ma di rinaturalizzare un pezzo di città, ricostruendo un habitat naturale per consentire anche alla fauna selvatica di riprodursi, favorendo la vita di specie animali e vegetali con la creazione di un nuovo ecosistema urbano.

Il ponte si trova abbandonato e degradato all’Arenella, tra il Rione Alto ed il Vomero: 2mila metri quadrati che si allungano per 140 metri lineari tra i palazzi della Quinta Municipalità, una parte di città fortemente urbanizzata con una importante densità abitativa ed una appena sufficiente disponibilità di verde per abitante.

Il Bando e tutte le informazioni sono disponibili sui siti www.napolicreativa.com e www.premiogreencare.org

Da questo link sono scaricabili tutti i materiali per partecipare al Concorso: https://www.dropbox.com/sh/vl26izd1647mimx/AACbaRcjKRtzPb-m6PBrHB1na?dl=0

Le ragioni della scelta del Ponte di San Giacomo dei Capri

La parola alle Organizzatrici 

La natura al centro del progetto

Grazia Torre*

Una serie di sostanziali cambiamenti nelle nostre vite era già nell’aria, ma la pandemia di Covid 19 ne ha di fatto accelerato l’esigenza, facendola diventare ormai improcrastinabile. Citando Alessandro Melis e il suo “Decalogo delle comunità resilienti” (Biennale di Architettura 2021), a voler fare un parallelo tra il periodo storico che stiamo vivendo e altri periodi a noi precedenti, potremmo rifarci alla “Piccola Era Glaciale” che a partire dalla metà del Trecento, provocò un brusco abbassamento della temperatura media terrestre con temperature rigidissime ed un graduale avanzamento dei ghiacciai. Ciò determinò una grande crisi europea dovuta sia alla difficoltà di approvvigionamento di tutte le principali risorse, sia ad una terribile pandemia di peste che fu letale per un terzo del continente. La forza di resilienza, insita nell’essere umano, portò le comunità più evolute ad inventarsi nuovi modi di vivere che sfociarono in un magnifico Rinascimento dove l’uomo si rese protagonista di una straordinaria crescita culturale.

Oggi i presupposti della nostra crisi ci appaiono molto simili. All’emergenza climatica si accompagna l’emergenza ambientale e l’aumento vertiginoso della popolazione terrestre va ad ingolfare le grandi città che diventano sempre più aride e lontane dai bisogni di un essere umano.

E’ diventato ormai necessario un cambio di passo nello sviluppo urbano, riportando maggiore sintonia tra l’ambiente antropico e il benessere dell’uomo, che non può più derogare dal suo essere parte di un complesso ecosistema. Nuove proposte di sviluppo quindi devono partire dalla tutela di questi ecosistemi per cui nuovi progetti architettonici ed urbanistici devono prevedere una decisa opera di rinaturalizzazione a garanzia della tutela delle biodiversità locali. Gli architetti da tempo hanno rinunciato a rivestire un ruolo strategico nel governare le trasformazioni sociali. E’ ora che invece ci si riappropri di questo ruolo, consapevoli della responsabilità che esso comporta, in quanto una buona progettazione può essere di grande aiuto per concretizzare questo ruolo ed imporre una direttiva intellettuale, etica e politica. Non solo grandi opere infrastrutturali, ma anche una serie di piccoli e medi interventi di ripristino del verde diffusi sul territorio. Fare spazio alla natura nei nostri ambienti costruiti, significa trasformare luoghi aridi e senza un’anima, in luoghi coinvolgenti, sani e resilienti, contribuendo a ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico e consentire alla città di adattarsi meglio ai cambiamenti climatici.

La nuova concezione del verde urbano mira a fornire habitat funzionanti in cui far rivivere le biodiversità. Diventa importante quindi che il progetto preveda di armonizzarsi con i paesaggi naturali e i suoi biotipi di fauna e flora selvatica che comporterà anche una semplificazione nella gestione per tutta la fase di sviluppo e manutenzione.

Fare spazio alla natura non dev’essere visto come un vincolo alla progettazione ma come un’opportunità anche politica per tutta una serie di migliorie e benefici che può apportare alle comunità locali.

Il processo di pianificazione dovrebbe riuscire a creare un’interconnessione tra varie aree verdi (compresi orti urbani, aree gioco e grandi aree ricoperte da piante tappezzanti) e a vari livelli, piano strada, tetti giardino e facciate, grandi aree ricoperte da piante tappezzanti, comprendendo anche, per l’irrigazione, l’utilizzo di acque bianche.

Certo non è un lavoro semplice e richiede l’integrazione e l’unione di varie competenze tecniche tra ingegneri, architetti, progettisti e paesaggisti. A questi ora si aggiunge anche la figura dell’ecologo, non solo per studiare come conservare le specie e gli habitat più pregiati già presenti, ma anche per integrare, e farli interagire tra loro, eventuali nuovi habitat. Per considerare attentamente le condizioni locali come vento, terreno acqua, aspetto, luce, substrato del suolo e profondità del suolo e tenere conto che gli edifici alti e la densità del costruito possono creare condizioni microclimatiche particolarmente difficili per le piante e altri animali selvatici. Per selezionare piante che radichino a diverse profondità, così da limitare la competizione tra specie e garantisce una rete di consolidamento del terreno, che unita al drenaggio delle acque scongiuri il rischio di frane e smottamenti. Per selezionare e localizzare le specie vegetali dalle caratteristiche più adeguate (ad es. per tolleranza alla siccità o capacità di prosperare in condizioni di bassa nutritività dei suoli) al fine di ridurre la necessità di irrigazione, energia, input e gestione intensiva.

Infine, ma non meno importante, c’è anche bisogno di una giusta comunicazione che faccia comprendere meglio, e lo faccia ricordare, il valore aggiunto, anche economico, che si dà ad un quartiere quando il suo sviluppo, in sintonia con la natura, aumenta la qualità di vita delle persone e si traduce in più benessere e più salute. Solo così ci potremo incamminare verso una trasformazione delle città che metta al centro del progetto l’uomo e la natura in armonia tra loro e non in conflitto.

*architetto, presidente Associazione Napoli Creativa

 

Alla ricerca del verde perduto

Benedetta de Falco*

E’ stata Marianna, una cittadina del Rione Alto, a credere tenacemente che la bretella di cemento armato, protesa nel vuoto del suo quartiere fortemente antropizzato, potesse diventare qualcosa d’altro, qualcosa di diverso, perfino qualcosa di qualità per i cittadini e, finanche, un luogo dove sperimentare una modalità virtuosa, in quanto sostenibile da tutti i punti di vista, con cui affrontare i residui tangibili dell’incapacità della classe dirigente napoletana di agire sul territorio per 40 anni.

Quindi, il Concorso che oggi prende l’avvio, nasce da un gesto civico, da uno sguardo attivo sul territorio, da un desiderio di cambiamento che non arretra innanzi all’immensità di un silenzio di quasi mezzo secolo. A conferma che nessun territorio può dirsi davvero perduto, se c’è almeno una persona che lotta per sottrarlo all’incuria, alla disaffezione, all’abbandono, alla rinunzia anche dell’immaginazione. “Chi sogna vince”, ha ripetuto l’architetto Riccardo Dalisi ad almeno due generazioni di Napoletani. “Prendetevi cura della vita”, ha predicato laicamente il filosofo Aldo Masullo. Due grandi del pensiero civico della loro e nostra amatissima Napoli, entrambi animati da un grandissimo senso di responsabilità sul valore della “cosa pubblica”, quale luogo della democrazia, dell’inclusione, delle possibilità per tutti, di più per i fragili. Poi sono venuti i “beni comuni”, una moda degli ultimi 10 anni, storia recente, con cui la Giunta de Magistris ha abdicato al controllo della città, abbandonando quelle prerogative di cura e manutenzione, proprie di un amministratore pubblico/buon padre di famiglia, spesso delegando al cittadino, senza un adeguato controllo, la cura degli spazi pubblici. Nel verde sono stati compiuti gli oltraggi più gravi, con tanta vegetazione storica irrecuperabile, perché segata o minata per sempre dalle capitozzature, e tante aree verdi, in cui la mancanza di competenze, unita alla miseria di ciò che è stato investito da parte dell’adottante, ha corrotto l’ambiente urbano con il risultato di un disordine ed una trascuratezza che determinano un aspetto di degrado generale.

Nel frattempo sono arretrati i pedoni, i bambini, gli anziani, i disabili. E cioè quella parte essenziale della vita civile di una città che nelle aree verdi, luoghi ad ingresso gratuito, e per questo luoghi democratici d’eccellenza, può esprimersi nelle sue forme di comunità, di partecipazione attiva.

E cos’è che oggi davvero chiede Marianna guardando al ponte, se non di riavere un luogo per la comunità? Uno spazio pubblico che accolga i desiderata di un quartiere che vuole il suo giardino, un’area giochi, un percorso vita, uno spazio per i cani, un luogo che svolga, con il suo corredo di vegetazione in buona salute, la necessaria attività ecosistemica, così vitale per tutti. Ma anche qualcosa di meraviglioso che faccia accorrere cittadini da altri quartieri, e perfino turisti, così da sviluppare, nell’orgoglio di partecipare alla bellezza, quel senso di appartenenza alla città che fa nascere e crescere il senso civico.

*Fondatore, volontaria e presidente Associazione Premio Greencare Aps